di Matteo Orlandi

Perugia, la città della fondazione, città storica che tra le tante

cose che possiede ha anche un importante squadra di calcio.

Un anno il Perugia arrivò secondo in serie A e per fare questa impresa

fu molto importante anche Vannini.

Come ci si sente a essere stato fondamentale nel Perugia dei miracoli

e ad aver fatto il primo gol in serie A nella storia del Perugia?

Al di la delle gioie del momento è rimasta la stima e l’affetto di tutta una città che ti fa sentire importante anche oggi.

Quale era il segreto di quella grandissima squadra?

Inizialmente è stato il rapporto di amicizia che si è subito creato nel gruppo che faceva si che tutti si sacrificassero l’uno per l’altro specialmente nei momenti di difficoltà.

In seguito anche le qualità tecniche di giocatori integrati negli anni.

Come è stato giocare con uno talmente importante a tal punto che hanno

assegnato il suo nome allo stadio del Perugia? Naturalmente sto

parlando di Renato Curi

Renato era per me un amico con un grande futuro da calciatore ma nel nostro rapporto ero io più importante per lui essendo più grande e più esperto. Purtroppo avremmo voluto tutti che lo stadio avesse continuato a chiamarsi “stadio comunale” e non intitolato per un evento così triste.

Tra tutte le squadre dove ha giocato qual è quella dove si è trovato meglio?

Le prime esperienze con il Como calcio hanno segnato la mia giovinezza, Perugia la mia carriera, due ricordi importanti.

Come si sentì quando debuttò per la prima volta in prima squadra?

Il mio debutto a 19 anni con  l’Arezzo in serie B fu a Genova, pieno di tensione; il debutto in serie A nel Perugia contro il Milan con lo stadio gremito da 30.000 tifosi fu emozionante ma pieno di entusiasmo.

Dopo aver smesso ha mai pensato di lavorare nel mondo del calcio?

E’ stata l’unica cosa presa in considerazione fare l’allenatore, ma forse ero impreparato visto che non pensavo di dover smettere di giocare così presto.

Quale lavoro ha fatto?

L’allenatore dopo i vari corsi per prendere il patentino.

Con quali squadre?

L’inizio è stato con il settore giovanile del Perugia, poi squadre di seri C: Jesi, Monopoli, Teramo, Andria, Catania, Pro Sesto, Giarre, Crema e Pisa.

Lei si è trovato meglio a fare il giocatore o lallenatore?

Il giocatore certamente, quella era una passione; l’allenatore è stata una conseguenza dopo l’infortunio.

Perché ha smesso di fare lallenatore?

Difficile dirlo, le cause sono molteplici ma forse perché non ho accettato certe delusioni e certi compromessi che nel mondo del calcio sono purtroppo frequenti.

Perché ha smesso di giocare a poco più di trentanni?

Per un infortunio (febbraio 1979) che per quei tempi è risultato determinante a non poter più giocare.

Precisamente come è successo?

Nella partita Perugia-Inter  finita 2-2 dopo aver segnato un goal, ho subito un” intervento” a gioco fermo di un avversario (Fedele) che mi ha procurato la frattura di tibia e perone della gamba destra.

Delle squadre attuali di serie A qual è quella che si avvicina di più

al suo Perugia?

Il calcio è cambiato moltissimo da allora, i moduli di gioco sono diversi, con più possesso palla e poca profondità; forse il Torino.

Perché?

Gioca con un solo attaccante centrale che cerca la profondità, due trequartisti, Ljajic, a volte Iturbe e Iago Falque; senza ruoli ben delineati che variano alle spalle dell’attaccante.

Come vede il Perugia di questanno?

Fa un bel gioco, diverte, ha qualche giovane interessante ma nessuno è determinante perché manca il giocatore di qualità superiore da permettere al Perugia di vincere il campionato.

Che cos’è che ha fatto peggiorare il calcio italiano?

L’arrivo dei giocatori stranieri ha fatto mettere in secondo piano il settore giovanile, e adesso che non siamo più competitivi economicamente, i migliori stranieri vanno in squadre estere e non abbiamo ancora ricambi italiani di livello.

Che bisognerebbe fare per farlo tornare come prima?

Stiamo iniziando a rivalutare alcuni giovani che ci possono far crescere a breve anche nella nazionale: vedi Atalanta, Milan, Torino ecc. Far si che le società abbiano gli stadi di proprietà per avere più pubblico e più introiti, così da essere competitivi con le grandi squadre europee.